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Cristina Amadori – una vita tra scuola e consultorio

“Ho una formazione come counsellor sistemico e all’inizio del mio lavoro in Fondazione Guzzetti mi sono occupata di fare i colloqui di accoglienza presso il consultorio di Boifava” così Cristina Amadori racconta la sua esperienza in Fondazione Guzzetti. “Quella del counsellor è stata un’esperienza bellissima e formativa. In realtà io sono un’insegnante, arrivo dal mondo della scuola che è spesso autoreferenziale. A scuola quasi non ci si rende conto che esiste un altro mondo. Fare invece questa esperienza di ascolto delle storie più diverse in consultorio mi ha aiutato a capire che c’è un altro mondo, anzi tantissimi altri mondi. Ho imparato a relativizzare quello che nella scuola era assolutizzato.

Spiegaci bene il tuo lavoro di counsellor.

Ho imparato ad ascoltare, che è molto difficile. Il lavoro di counsellor mi ha dato la possibilità di sperimentarmi in tantissime situazioni. Non si trattava solo di fare un colloquio a chi veniva per chiedere aiuto. Dovevo ascoltare e accogliere la loro domanda, senza però “metterci il becco”, senza dare consigli, anche perché non mi compete.

In realtà però la figura del counsellor non è prevista all’interno dei consultori, cioè non rientra tra le professioni riconosciute da ATS.

Esatto. Prima di essere counsellor sistemico, però, sono stata anche insegnante e questa qualifica mi ha consentito di diventare operatrice in Fondazione Guzzetti, per coordinare i progetti nelle scuole, per la parte più organizzativa e tecnica.

Cioè?

Ho utilizzato la mia professionalità maturata nel mondo della scuola e la mia conoscenza delle dinamiche scolastiche per presentare un progetto di Fondazione Guzzetti. Conosco bene la parte più burocratica: quando bisogna presentare un progetto, come farlo in un collegio docenti, so quali sono i contenuti che interessano la scuola.

Ad esempio?

Nel 2017 quando è uscita la legge sul bullismo e il cyberbullismo, prima a livello regionale e poi nazionale, sapevo che le scuole avevano l’esigenza e l’obbligo di formare i propri studenti su questo tema. Ho subito coinvolto Fondazione Guzzetti per offrire un progetto alle scuole.

Che cosa hai insegnato?

Insegno ancora oggi religione nelle scuole medie. E’ tuttora il mio lavoro principale.

E allora perché hai deciso di fare il counsellor?

Perché cominciava a starmi stretta una unica professionalità. Ho fatto la scuola di counsellor e quindi ho fatto il tirocinio in consultorio. Ho deciso di iniziare questa collaborazione perché avevo necessità di “vedere altro” oltre al mondo della scuola. Lavorare con altri professionisti mi ha arricchito e ha modificato il mio modo di lavorare anche a scuola. Sicuramente poi Fondazione Guzzetti è diversa da tutte le altre realtà.

Perché?

Credo che Fondazione Guzzetti abbia una caratteristica in più: in ogni operatore c’è la consapevolezza che, oltre il lavoro, ci sia una parte di “tempo in più”. Molti di loro lavorano oltre ciò che viene ricompensato economicamente, perché sentono di lavorare in un gruppo che mette l’altro al centro. Non siamo in una multinazionale, l’attenzione alla persona è tutto.

Quanto è importante il contributo che gli operatori di Fondazione Guzzetti possono dare oggi alla città di Milano?

Nell’ultimo anno, particolarmente complesso, ci siamo attivati in mille modi per non lasciare sole le persone. Chi si rivolge a noi vive un momento di fragilità e necessita di attenzione e accoglienza. Un valore aggiunto di Fondazione Guzzetti è quello dell’equipe: ci confrontiamo, pensiamo insieme e questo arricchisce il lavoro di tutti e quindi la risposta che possiamo dare a chi ci chiede aiuto.

Sembra che tra scuola e consultorio non ci sia tempo per altro…

Il carico non è leggero in effetti. Ma faccio in modo di trovare un po’ di tempo per i miei libri, un rifugio e un’oasi di relax, e ovviamente gli altri.

Gli altri? Ancora?

S’, spesso, se ho del tempo libero, vado a trovare persone anziane o mi incontro con persone in difficoltà. Questo “fare per gli altri” mi rende felice e dà un senso alla mia vita. La fede è per me una risorsa fondamentale e il “manifesto” che ho scelto è Mt 25.31-46: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

Com’è nata la tua fede?

Come tutti i bambini. Anche se avevo due genitori non particolarmente interessati alla religione: per loro la Comunione e la Cresima erano cose che tutti facevano, un po’ come le vaccinazioni ai miei tempi. Ma a 12 anni qualcosa è cambiato. Ricordo ancora che stavo camminando con un’amica a Vimercate e mi chiese: “Vieni oggi all’incontro di preghiera?”. Ho pensato che non sarebbe stata una cattiva idea. Da lì ho cominciato a parteciparvi tutti i venerdì pomeriggio, ho chiesto di leggere il Vangelo perché mi incuriosiva. Quello che non capivo lo chiedevo ad alcuni insegnanti che avevano questa sensibilità. Ho cominciato a vivere la fede in modo attivo, soprattutto in Azione Cattolica. Mi sono talmente appassionata che ho studiato Scienze religiose. Volevo studiare, volevo capire. E tuttora è così nella mia parrocchia di San Pio V a Milano.

Credere per capire o capire per credere?

Di certo credere senza capire non fa per me, anche se ho imparato col tempo ad accettare i miei limiti e ad affidarmi. Non in modo stupido, tutt’altro! Non sono una credulona. Fidarsi non è una cosa da stupiti. Io sono abituata a cercare di capire, studiare, ragionare, approfondire. Ma decidere che ti fidi è liberante: faccio tutto quello che posso, ma poi la storia è nelle mani di Dio. Ecco perché la fede è una risorsa.