Il gruppo “Dire&Fare®” di Fondazione Guzzetti è rivolto ai caregiver, cioè tutti coloro che – a vario titolo – si occupano e assistono congiunti con malattie neurodegenerative in corso. Parliamo di Alzheimer, demenze senili, Morbo di Parkinson, ma anche di decadimento cognitivo generico. Il gruppo è nato nel 2011 in corrispondenza con il progressivo aumento di queste malattie, che sono diventate “ordinaria amministrazione” nella nostra società. Si può dire, senza ombra di dubbio, che in ogni famiglia ormai ci sono casi di persone che sviluppano queste patologie. Maria Raugna, psicologa e pedagogista clinica, e Barbara Eleonora Pozzoli, psicologa e musicoterapeuta, sono le operatrici che guidano e accompagnano il gruppo una volta al mese, per esattezza il terzo martedì del mese, dalle 18:00 alle 20:00, presso il consultorio Strozzi (via Strozzi 6/a – Milano).
“Le famiglie hanno la necessità di un supporto, sia per capire la malattia quando è agli esordi, sia per accettare il progressivo allontanamento della persona dal suo presente” spiega la dottoressa Raugna.
In cosa consiste questo allontanamento e che effetti provoca?
Via via che la malattia procede, la persona perde sempre più la consapevolezza della sua vita attuale e della memoria presente. A causa della caduta della memoria a breve termine, si dimenticano dove ripongono gli oggetti, quali gesti è necessario fare in alcune situazioni, di aver appena formulato una domanda. Soprattutto la ripetitività è motivo di attrito con i parenti. Talvolta la persona perde anche la memoria dei suoi cari se non addirittura di se stesso, non riconoscendo il proprio figlio e/o non riconoscendosi come padre o fratello o sorella. Questo “cambio di identità” o “multi-identità” è vissuto dal famigliare con una sofferenza indescrivibile.
Le dottoresse Pozzoli e Raugna
Quando si può cominciare a partecipare al gruppo?
Non c’è un inizio né una fine, se non il tempo della malattia. Chi arriva nel gruppo viene accolto dai partecipanti, dopo un primo colloquio con noi operatrici, che facciamo da testimoni e facilitatrici. In realtà sono gli stessi partecipanti che si aiutano a vicenda.
Davvero?
Certo! Soprattutto nell’esordio della patologia il caregiver perde la pazienza, prova sentimenti di rabbia, fino a forme aggressive. Serve un luogo dove poter esprimere questi sentimenti, senza sentirsi sbagliati o cattivi.
Che tipo di utenza frequenta generalmente il vostro gruppo?
Per la maggior parte sono donne tra i 40 e i 70 anni. Spesso sono figlie ma anche mogli o, più raramente, badanti.
Non è un caso che l’utenza sia femminile…
Già, molto spesso il compito di assistenza è ancora delegato prevalentemente alle donne. Quando sono molto giovani, come nel caso di esordio precoce della malattia nel congiunto, notiamo che sono restie a partecipare, perché si sentono fuori luogo. Il nostro consiglio è comunque sempre quello di farsi aiutare, in ogni caso, trovando la modalità più consona.
Dottoressa Pozzoli, lei lavora anche presso la struttura del don Orione e ha avuto un’esperienza personale che l’ha portata a interessarsi in prima persona circa il ruolo dei caregiver.
Sì, esatto. Credo che questi due elementi abbiano fatto nascere in me la consapevolezza che occorrono suggerimenti pratici, ma anche sostegno psicologico per affrontare un periodo, più o meno lungo, di malattia con un proprio caro.
Che cosa fate quindi concretamente nel gruppo?
Il nome del gruppo “Dire&Fare®” richiama proprio la duplice anima: mettere parola su quello che accade, dare voce e condividere i vissuti e le emozioni, che sono tutte legittimate e mai giudicati. Ma è importante anche agire, muoversi, dare e ricevere informazioni più tecniche. A volte il gruppo serve per aiutare le famiglie ad accompagnare il parente in un’ipotesi di istituzionalizzazione.
Si può imparare anche a rivolgersi correttamente al malato…?
Certamente. Diamo suggerimenti su come parlare, cosa dire ma soprattutto cosa non dire. Utilizzare il pensiero logico con questi malati è una battaglia persa. Occorre accettare le multi-identità del malato, che può passare ad essere padre, figlio, o addirittura uno sconosciuto.
Lei, essendo musicoterapeuta, mette abitualmente a disposizione anche questa sua specializzazione nel gruppo?
Non esattamente. La penultima competenza che rimane ai malati di decadimento cognitivo è proprio la melodia. Per questo motivo si danno indicazioni di recuperare canzoni della storia remota della persona, spesso fino all’infanzia. Anche il ritmo ripetitivo delle preghiere può aiutare a ritrovare la melodia interna. Si recupera così quella voce che altrimenti non riuscirebbe nemmeno ad uscire.
Raccontateci qualche bella storia che avete incontrato…
Sono tante. Ma se dovessimo scegliere, ci vengono in mente due fratelli che hanno deciso di venire insieme al gruppo, dato che entrambi i genitori si sono ammalati quasi contemporaneamente. Quello era un modo per condividere le fatiche del momento e le informazioni ricevute nel gruppo. E la seconda storia è quella di un marito che, quando la moglie non lo riconosceva perché ormai stava peggiorando di giorno in giorno, aveva trovato un escamotage molto particolare: usciva sul pianerottolo, si cambiava i vestiti indossando un abito simile a quello del loro matrimonio e rientrava in casa. A questo punto la moglie lo riconosceva subito! Quell’uomo aveva trovato il modo per stare ancora un po’ di tempo insieme a sua moglie. Questo racconta anche dell’importanza di attivare tutte le proprie risorse, anche quelle apparentemente più fantasiose, per sintonizzarsi sulla nuova inedita visione della vita del proprio caro.
Per info, contattare la segreteria del consultorio Strozzi:
02.40702441 – ccfstrozzi@fondazioneguzzetti.it