Oggi vi presentiamo Nicole Piccolo, psicologa specializzanda in psicoterapia presso il consultorio Sant’Antonio. Dopo il liceo linguistico ad Ancona, sua città di provenienza, Nicole decide di iscriversi al corso di laurea in Relazioni internazionali presso l’Università Cattolica di Milano.
“È stata la mia professoressa di geografia antropica a farmi innamorare della cooperazione internazionale”.
Non avevi proprio in mente la psicologia?
In realtà sì. Ho sempre sentito molto con la pancia. E sin da piccola ero curiosa del funzionamento delle relazioni interpersonali. Volevo aiutare le persone a migliorare i propri rapporti quotidiani.
Ma hai accantonato la psicologia, perché avevi altri sogni…
Credevo di voler fare la cooperante. Volevo viaggiare, conoscere altri popoli… Ma dopo la laurea nel 2010, mi cercano le aziende. In particolare, vado a lavorare in una grande multinazionale, per occuparmi dell’ufficio stampa. Ma la passione per la psicologia continuava a rimanere lì, in attesa che io la prendessi sul serio.
E che cosa è accaduto?
Nel 2014 mi ritrovo con un contratto a termine, a causa di una joint venture. Decido così di iscrivermi all’università. Questa volta è Psicologia. Nel contempo, dato che avevo già una laurea magistrale, frequento il Master in mediazione familiare con un perfezionamento in counseling umanistico, con la dottoressa Isabella Buzzi.
Perché la mediazione familiare? Da dove salta fuori?
Mi interessava affrontare il tema del conflitto che mi ha sempre spaventato molto e che vedevo come qualcosa di negativo. Ho scoperto invece quanto sia prezioso e quanto, se gestito bene, possa rivelarsi un’opportunità di cambiamento e crescita.
Come proseguono gli studi in Psicologia?
Mi laureo nel 2019 ed entro in contatto con un’avvocatessa che aveva seguito il mio stesso master. Lavorava presso un Centro Antiviolenza, realtà che mi era molto familiare, perché mia mamma è stata per molto tempo un’operatrice presso una casa rifugio di Ancona. Così vengo a conoscere la realtà dell’SVS DAD, associazione nata del 1997 per affiancare il Soccorso Violenza Sessuale della Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico. (SVS DAD, oggi diventata cooperativa sociale, offre sostegno e assistenza alle persone che hanno subito violenza sessuale, maltrattamento e stalking e promuove la prevenzione della violenza di genere attraverso attività ed eventi di sensibilizzazione).
Il tema della violenza è sempre stato centrale nella tua vita…
Assolutamente sì. Lavorare in un centro antiviolenza è stato una vera e propria palestra che mi ha arricchito tanto, sia professionalmente che umanamente.
In tutto questo percorso, come hai conosciuto Fondazione Guzzetti?
In realtà ho incontrato prima Michele Rabaiotti e Giangiacomo Reali, coordinatore dell’equipe del consultorio Sant’Antonio, proprio durante una formazione che abbiamo svolto per gli operatori di consultorio come SVS DAD. Nel 2022 mi ero iscritta alla scuola di specializzazione in psicoterapia, ad indirizzo cognitivo costruttivista.
Quindi hai deciso di svolgere il tirocinio in Fondazione Guzzetti…
Sì, su invito di Michele e Giangiacomo. Ora sono al quarto anno di specializzazione e non ho alcuna intenzione di andarmene dal consultorio. Mi sono innamorata dell’ambiente. Ho trovato persone molto evolute, super stimolanti, professionisti molto competenti. Eppure inizialmente ero molto titubante…
Come mai?
Nonostante la mia educazione cattolica, negli anni mi sono allontanata dalla vita religiosa e pensavo che un consultorio di matrice cristiana fosse poco inclusivo in questo senso. Invece ho trovato colleghi e colleghe molto aperte, ciascuno con la propria formazione professionale e il proprio valore umano.
Chi incontri prevalentemente in consultorio?
Adulti e giovani adulti. Mentre accolgo le coppie e le famiglie insieme a Marcella Campi, una psicoterapeuta che stimo moltissimo, di una ricchezza d’animo davvero rara.
Nicole Piccolo
Che cosa ti piace di più del lavoro in consultorio? E che cosa meno?
Parto da quest’ultima domanda: sopporto poco e male la burocrazia. È molto faticoso gestire la parte procedurale della presa in carico: si rischia di perdere di vista l’essenziale, che è la persona stessa. Mentre quello che amo di più è la grande capacità di accoglienza di ogni singola situazione, anche quelle più complesse.
Ad esempio?
Uno fra tanti che mi viene in mente è che non abbiamo nessun dubbio sull’importanza dell’accompagnamento di persone transgender, che stanno vivendo la transizione di genere. O di chi è in crisi perché sta scoprendo la propria identità, anche dal punto di vista della fluidità di genere. La nostra porta è sempre aperta e accompagniamo senza remore chiunque dovesse bussare.
Un modo per garantire accoglienza a tutti è anche quello di creare una rete di supporto con altri enti e partner, presenti sul territorio, ciascuno con la propria specificità di azione. Quali sono quelli privilegiati?
Io credo che sia opportuno relazionarsi con il maggior numero di realtà possibili. La rete è importantissima, al di là delle urgenze che possono capitare e che richiedono tempestività nell’intervento. L’interlocutore privilegiato però deve essere il mondo della scuola, perché lì si può fare davvero prevenzione ed è importante iniziare precocemente, già alla scuola dell’infanzia.