Oggi incontriamo Emanuela Pasin, psicologa e psicoterapeuta di Fondazione Guzzetti.
“Dopo avere concluso il liceo scientifico, mi sono laureata in psicologia all’Università di Torino, ho svolto il tirocinio presso l’Associazione Ricerca in Psicologia Clinica di Milano e il Centro per il Bambino Maltrattato di Milano, quindi dopo l’esame di Stato mi sono specializzata in Terapia familiare presso la Scuola Mara Selvini Palazzoli di Milano”.
La tua formazione però non si è fermata certo qui…
No, infatti, fin dalla conclusione dell’università ho cercato di formarmi e di aggiornarmi, mantenendo la maggiore apertura possibile rispetto a orientamenti e filoni di studi diversificati. Da qui la mia scelta di effettuare in primis un doppio tirocinio, in due ambiti in cui venivano utilizzati diversi approcci: quello psicodinamico e quello sistemico-relazionale. Nel corso degli anni, ho cercato di mantenere questo doppio binario e anche di approfondire con formazioni specifiche e lettura di testi il filone delle neuroscienze. Ho quindi acquisito i due livelli EMDR e ho sperimentato il corso base di mindfulness MBSR.
In genere una passione così forte è determinata da incontri chiave nella vita…
Gli incontri importanti sono stati tantissimi. Mi sento molto fortunata perché ho avuto occasione, durante la stesura della tesi (una ricerca sui casi trattati dal centro di terapia familiare di Mara Selvini Palazzoli) di vedere all’opera la seconda equipe del centro (Selvini Palazzoli, Selvini, Cirillo e Sorrentino). Mi hanno insegnato a lavorare in squadra con una posizione mentale di costante disponibilità a mettere in discussione e rivedere il mio operato, per integrarlo e arricchirlo con quello dei colleghi e ad apprendere dall’esperienza. In ARP ho invece appresa la meticolosità e l’attenzione necessarie alla comprensione delle dinamiche intrapsichiche.
C’è stata una figura rilevante che ha segnato la tua formazione?
Senza dubbio il dott. Gatto, ex direttore del Centro Consulenza Famiglia, che – con il suo carattere burbero ma attento e la sua visione libera da qualsiasi spinta conformista – mi ha insegnato ad ascoltare veramente le persone, cogliendo segnali apparentemente trascurabili e non cadendo nelle trappole di quegli stereotipi e luoghi comuni, che spesso ci impediscono di cogliere con onestà ciò che ci sta succedendo.
Oltre al consultorio hai lavorato in altri ambienti?
Ho lavorato per molti anni anche nell’ambito dei Servizi Sociali, nell’area Minori e Famiglie, su situazioni di disagio sociale, maltrattamento e separazioni conflittuali, settore che mi ha permesso di avere una visione del sociale più ricca e a tenere conto degli aspetti normativi e legali.
Emanuela Pasin
Perché hai scelto questa come professione?
Durante la scuola superiore avevo altre passioni, ero indecisa tra la professione di giornalista, quella di istruttrice di ginnastica o ancora qualche lavoro che avesse a che fare con le scienze matematiche. Al quarto anno di liceo ho scoperto nella biblioteca scolastica la collana dei testi di Freud della Boheringer e, da quel momento, piano piano ma inesorabilmente, ho iniziato ad appassionarmi ai temi della psicologia e del funzionamento della mente umana. Inizialmente pensavo che avrei preso il ramo della psicologia del lavoro con l’idea di aiutare le persone a scegliere la professione in base alle proprie attitudini e a contribuire a migliorare la qualità della vita valorizzando l’ambiente aziendale. Nel corso degli studi ho poi virato verso la clinica, che mi ha appassionato di più.
Perché privilegiare la clinica?
Credo che le motivazioni profonde che mi hanno portato a scegliere questa strada stiano nella mia curiosità e nella meraviglia che ogni volta sperimento nell’incontro con l’altro, nella mia grande fiducia nelle persone e nel potere delle relazioni nel migliorarci ed arricchirci e, in ultimo, nel mio bisogno di smantellare le sovrastrutture mentali e i meccanismi disfunzionali che ci portano a soffrire, non permettendoci di sfruttare appieno le nostre risorse.
Come hai incontrato Fondazione Guzzetti?
Dopo avere concluso l’esame di Stato, nel 1997, ho iniziato a cercare lavoro: all’epoca si guardavano le Pagine Gialle… ho quindi trovato una serie di consultori, presso i quali sono andata personalmente, chiedendo un colloquio ai direttori. Allora molti erano parte di FeLCeAF. Mi sono fermata nel più lontano da casa, paradossalmente, perché un operatore stava per interrompere la collaborazione e cercavano qualcuno che lo sostituisse.
Perché hai scelto di lavorare in consultorio e ancora oggi confermi tutti i giorni questa decisione?
I consultori sono osservatori privilegiati: sono servizi di primo livello, ai quali afferisce un’utenza molto diversificata, che poi può essere presa in carico o indirizzata a servizi specialistici. Offrono quindi una visuale ampissima di molti fenomeni sociali e danno l’occasione di sperimentare una grande varietà di richieste. Spesso capita di trovarci a collaborare con medici di base, scuole, servizi sociali o altri enti e realtà, in un lavoro di rete che permette di vedere meglio la persona e di consentire loro di avere supporto a 360 gradi. Infine i nostri consultori hanno una consuetudine molto consolidata al lavoro di equipe, che permette un confronto estremamente arricchente con colleghi che provengono da formazioni molto variegate, che è in linea con la mia modalità di lavoro.
Qual è secondo te il compito di Fondazione Guzzetti nella città di Milano per i prossimi anni?
Mi piace immaginarmi la Fondazione che riesce a mettere al centro le persone pensando a un’offerta che possa rispondere efficacemente alle loro necessità, collaborando – o a volte suggerendo a chi amministra i servizi cittadini – proposte o soluzioni a problemi, in modo dinamico e funzionale. Questo può avvenire attraverso il lavoro nelle scuole, sostenendo gli insegnanti nel loro ruolo, oggi fortemente in crisi, oppure aiutando i giovani a uscire dalle logiche delle discriminazioni, o anche solo aiutando una coppia di genitori a non abdicare alla loro funzione educativa e di guida per i figli, in una società in cui questo è sempre più difficile.