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Federico Tavernese – “Senza la salute psicologica, non c’è un vero modo di stare insieme agli altri”

Oggi incontriamo Federico Tavernese, psicologo e psicoterapeuta di Fondazione Guzzetti.
Federico, perché proprio psicologia?

Scelsi questa Facoltà perché ebbi l’impressione che potesse avere un riflesso dentro di me, che fossero studi che, oltre ad essere una strada professionale da percorrere, potevano avere a che fare con me come persona. Poi ho scelto di approfondire la psicologia clinica, e infine ho scelto la psicoanalisi come approccio terapeutico, soprattutto grazie agli insegnamenti di alcuni docenti che mi avevano particolarmente colpito. E ancora adesso mi sto formando.

Il tuo lavoro quindi si concentra sulla psicologia clinica?

Sì, e insieme a questo mi occupo anche di persone con disabilità grave o gravissima; inizialmente il mio lavoro si rivolgeva a bambini e ragazzi, dai 3 ai 16 anni, ora invece mi occupo principalmente di adulti. Per quanto riguarda questa mansione sono sia psicologo che responsabile di un centro diurno. Una delle attività che ho svolto in passato riguardava l’integrazione scolastica per ragazzi con disabilità o disagio, per favorire il loro inserimento e l’integrazione nell’ambiente scolastico.


Federico Tavernese

Come hai conosciuto Fondazione Guzzetti?

Lavoro nel consultorio di via Restelli dal 2003, quando Fondazione Guzzetti non esisteva ancora. Inizialmente ho maturato molte esperienze sul territorio, grazie a progetti che come operatori del consultorio garantivamo nelle scuole e negli oratori; questa era ed è una prerogativa fondamentale di un consultorio. Per alcuni anni, al di fuori della Fondazione, ho anche lavorato in un servizio territoriale di spazio neutro.

In che cosa consiste?

Riguarda il diritto di visita e di relazione di un genitore con i propri figli: quando ci sono separazioni conflittuali oppure uno dei genitori ha manifestato comportamenti o condotte gravi, non sempre è consentita la possibilità di continuare ad avere un rapporto con i figli liberamente. L’incontro coi figli, allora, avviene in situazioni protette, ossia lo spazio neutro, disposto dal tribunale dei minori. Ci sono operatori che facilitano questo incontro e il mantenimento del legame.

Ora, come si svolge il tuo lavoro?

Oggi ricevo prevalentemente giovani e adulti, che si rivolgono al consultorio con una richiesta di aiuto psicologico.

In che modo ti relazioni a loro?

Il mio approccio è molto semplice: cerco di offrire un ascolto e cerco di pensare a quale potrebbe essere l’aiuto che posso dare e che loro potrebbero ricevere da me. Credo si debba offrire accoglienza anche quando le situazioni appaiono molto complicate o addirittura gravi. Chiedere aiuto è già un grande passo, che va accolto, valorizzato e sviluppato.

Chi si presenta oggi in consultorio?

Oggi al consultorio accedono persone con le problematiche più disparate. C’è una grande varietà di richieste, non sempre legate a situazioni famigliari. Spesso capitano problematiche esclusivamente di natura clinica.

Cioè?

Un bisogno di aiuto rispetto a problemi interni, personali, piuttosto che legati al contesto famigliare.

Perché è importante il consultorio nella società di oggi?

Il consultorio è fondamentale soprattutto per il territorio in cui si trova. Diventa un punto di riferimento per le persone che vivono quel quartiere, per le scuole di quella zona, grazie a una molteplicità di servizi che vengono offerti costantemente. Gli operatori che vi lavorano possono collaborare tra loro in un contesto organi zzativo e istituzionale decisamente valido. Inoltre i consultori non sono ambulatori, non sono quindi immediatamente connotati come un contesto sanitario o clinico in generale. In consultorio però si trovano professionisti che hanno le stesse competenze di chi lavora in strutture sanitarie, ed è possibile chiedere aiuto senza immaginare di sentirsi addosso necessariamente una diagnosi.

Quindi è più facile l’accesso ai consultori?

Decisamente sì. Molte persone con diversi problemi e domande riescono ad avere una risposta e un aiuto in modo utile.

E laddove non è possibile?

Chiediamo aiuto agli altri servizi del territorio, con cui facciamo rete.

Nell’ultimo anno si è verificato un aumento delle richieste d’aiuto sul versante psicologico?

Sì. Anche se in Italia le cure psicologiche non sono tenute molto in considerazione. Parlo anche del periodo antecedente la pandemia. Eppure ce n’è tanto bisogno. Senza una salute psicologica non c’è un vero modo di stare insieme agli altri che possa continuare a funzionare. Fondazione Guzzetti ha la possibilità e la responsabilità di rendere più presente questa istanza, cercando di avere maggiori risorse per rispondere ai bisogni delle persone.