Incontriamo Cristina Cesana, mediatrice famigliare e direttrice responsabile dei consultori Kolbe e Mancinelli di Fondazione Guzzetti
Mamma di due ragazzi ormai grandi, ho lavorato per lungo tempo in uno studio legale occupandomi di diritto di famiglia. Nel corso degli anni, però, mi rendevo sempre più conto di quanto il diritto avesse dei grossi limiti nella gestione delle crisi famigliari. Spesso, nel mio ruolo di legale di uno o di entrambi i partners, mi accorgevo di non avere tutti gli strumenti per rispondere al vero interesse di quella famiglia, figli inclusi, che stava vivendo una separazione o un divorzio. Era la fine degli anni Novanta e la mediazione famigliare sbarcava in Italia. Mi sono subito interessata a questo nuovo approccio di gestire i conflitti familiari, più legato ai bisogni della persona rispetto alle rigide posizioni che si assumono quando si litiga e alla sua prospettiva focalizzata sull’interesse dei minori più che su quella degli adulti, spesso offuscati da rancori e risentimenti, paure e rivendicazioni. Ricordo che stavo allattando il mio secondo figlio, Federico, ma che non ho esitato ad iscrivermi al Master biennale di II livello in Mediazione famigliare e comunitaria in partenza presso l’Università Cattolica di Milano. Questo percorso mi ha cambiato profondamente. Una vera e propria svolta nelle mie scelte relazionali e professionali.
Com’era strutturato il master?
Il master era organizzato dal Centro Studi e Ricerca sulla Famiglia della facoltà di Psicologia e, dunque, dedicava ampio spazio alle tematiche psicologiche del sistema famiglia, con un’attenzione particolare alla cura dei legami tra i generi, le generazioni e i gruppi sociali. Il programma del primo anno, inoltre, includeva una parte rilevante sui conflitti di comunità e sul sistema di reti sociali secondarie che mi ha aperto a nuove prospettive e aiutato a guardare il mondo fuori dal ‘mio giardino’ con occhi diversi. Il secondo anno, invece, era volto all’aspetto pratico e più focalizzato sui processi di mediazione famigliare e sull’uso di diversi strumenti di gestione del conflitto, e sugli aspetti giuridici necessari per far rientrare gli accordi mediati nel quadro normativo vigente.
Che tipo di esperienza è stata?
È stata un’esperienza folgorante che mi ha portato ad affrontare argomenti nuovi per me, e che hanno toccato anche aspetti personali importanti. Inoltre, mi ha cambiato visione rispetto al conflitto e alle diverse modalità di gestirlo, funzionali e meno funzionali. Ho appreso che non necessariamente ‘il vincere’ di una parte è legato ‘al perdere’ dell’altra, o che l’unica soluzione per fare pace è che uno dei due contendenti abdichi rispetto alla propria pretesa o che entrambi rinuncino ad una parte della stessa; dietro alle contrapposte posizioni, infatti, ci sono sempre degli interessi sottesi comuni, che richiedono però un attento ascolto e un tempo per farli emergere, riconoscere e che costituiscono poi le basi di un accordo sostanzialmente condiviso. Alla fine degli anni Novanta in Italia si parlava ancora poco di mediazione e ancora meno di A.R.D. (Alternative Dispute Resolution) come modalità alternativa di risoluzione dei conflitti rispetto al ricorso alle aule di Tribunale. Questa prospettiva mi affascinava e ho voluto mettere anima e corpo in questa nuovo approccio di gestire le dispute famigliari e mi sono iscritta all’A.I.Me.F., Associazione Italiana Mediatori Famigliari. Da qui, ho cominciato ad avere dei ruoli come consigliere regionale, come membro della commissione degli esami nazionali, come supervisore e formatore ad altri mediatori a Milano, Roma e Bologna”. Insomma, il mondo della mediazione familiare era diventato il mio mondo.
Come hai conosciuto Fondazione Guzzetti?
Mi sono proposta al consultorio La Famiglia Ambrosiana come mediatore famigliare e da lì ho iniziato a conoscere da vicino la realtà dei consultori e l’importanza della loro esistenza a sostegno del sistema famiglia e di tutti i suoi componenti nel corso delle sue divere fasi di vita. Oltre agli incontri di mediazione famigliare, mi sono occupata di percorsi di empowerment per coppie che volevano migliorare la loro relazione e gestire le loro conflittualità come occasione di crescita individuale e relazionale, e gruppi di genitori separati. Ho realizzato in quegli anni numerosi gruppi, sia in sede che presso gli oratori che in occasione di incontri formativi organizzati dalla pastorale famiglia, sui temi della separazione e della mediazione famigliare, della gestione dello stress e della comunicazione efficace in coppia, della comunicazione tra genitori e figli. Dal 2000 al 2014 sono stati per me anni di formazione continua e di stimolante attività…
Fondazione Guzzetti nasce nel 2014…
Esatto! In verità la Fondazione viene costituita nel 2013 nell’ambito di una riorganizzazione dei consultori familiari Fe.L.Ce.A.F. (Federazione Lombarda dei Centri di Assistenza alla Famiglia) per intuizione dell’allora suo Presidente don Edoardo Algeri. Riorganizzazione necessaria per dare risposte puntuali ai repentini cambiamenti culturali e sociali, per un coordinamento efficace tra consultori nel processo di adeguamento ai nuovi requisiti e procedure di accreditamento di Regione Lombardia, e per presentarci a pubblico ed istituzioni più compatti ed efficienti. Era un periodo di grande fermento dialettico, ricco di dibattiti, eventi formativi, conferenze (ricordo bene la tre giorni a Milano della conferenza nazionale della Famiglia!), incontri per aggiornamenti delle normative regionali. In questo contesto l’allora direttore del Consultorio La famiglia Ambrosiana, dott. Zampetti, mi ha proposto di partecipare ad un corso di formazione per coordinatori e direttori di consultori familiari organizzato dalla Fe.L.Ce.A.F. in collaborazione con l’Altis dell’Università Cattolica di Milano. Proposta accettata.
E poi diventa responsabile dei consultori Kolbe e Mancinelli…
Sì, Kolbe e Mancinelli sono due realtà da sempre molto vicine tra loro, e non solo dal punto di vista territoriale. Il consultorio Familiare Kolbe è nato qualche anno dopo rispetto a Mancinelli per garantire un presidio anche in una zona più a est di Milano rispetto a ‘Casoretto’. Sono due consultori da sempre gestiti dallo stesso direttore e molti operatori lavorano in entrambe le strutture. Era nell’ordine logico delle cose mantenere questa sorta di gemellaggio.
Non hai mai pensato di tornare indietro a svolgere la tua professione di prima? Perché hai deciso di rimanere in consultorio?
Il ricorso ai metodi tradizionali di giustizia è fondamentale quando occorre tutelare un soggetto fragile o abusato, in assenza di responsabilità genitoriale minima o in presenza di reati. Ma in tutti gli altri casi di crisi famigliare, a mio parere, sono altre le figure professionali che possono aiutare in modo più funzionale il sistema famiglia e i singoli componenti, e sono quelle figure che si trovano nei nostri consultori: il consulente famigliare, la ginecologa, l’ostetrica, il mediatore, l’assistente sociale, lo psicologo. Tutti professionisti capaci di dare ampia risposta alle diverse fasi critiche che la famiglia incontra nel corso del suo ciclo vitale.
Anche in periodo di pandemia?
Al di là dell’evento pandemia, che ha aumentato di fatto le richieste di aiuto giunte ai nostri consultori, il bisogno psicologico in crescita è una realtà pre Covid. Nel corso di questi 10 anni, abbiamo visto in particolare un aumento di richieste da parte di adolescenti e giovani adulti/e e di uomini, rispetto ad un’utenza storica più al femminile. Inoltre, le richieste di aiuto che arrivano da noi sono sempre più complesse, sia nella tipologia del disagio, sia perchè riguardano più componenti del medesimo nucleo famigliare. Non è semplice, ma in generale Fondazione Guzzetti ha la fortuna di avere collaboratori non solo molto qualificati, ma portatori anche di un “quid” preziosissimo” che fa da motore.
Quale?
Quello della condivisione valoriale. E’ una sorta di codice etico, non solo messo nero su bianco da Fondazione Guzzetti, ma che si percepisce nelle relazioni tra tutti noi, tra noi e le persone che accedono ai nostri consultori.
Per esempio?
Accoglienza totale e indiscriminata, rispetto per la persona (e l’ambiente), carità nella accezione più ampia, autenticità, onestà, senso di responsabilità e dedizione nei confronti di chi ha bisogno. Va detto, però, che talvolta non è semplice mettere in atto tutto ciò e contemporaneamente rispondere alle istanze burocratiche e di bilancio che l’accreditamento con la Regione Lombardia impone. In questo periodo, inoltre, una nuova sfida sta richiedendo un ulteriore impegno agli operatori, e a tutti noi di Fondazione Guzzetti: il nuovo programma gestionale, che velocizzerà tutti i processi una volta a regime, ma che in questa fase di cambiamento procedurale e organizzativo richiede fatica e dedizione. Credo che in assenza di questo ‘quid’ molti dei nostri collaboratori avrebbero smesso di lavorare con noi da tempo.
Su che cosa puntare nei prossimi anni come Fondazione Guzzetti?
In questi anni abbiamo fatto un ottimo lavoro per consolidare un senso di appartenenza interna e per farci conoscere al pubblico e alle istituzioni come Fondazione Guzzetti: un sito ben fatto, dinamico e vicino alla gente, protocolli e convenzioni con enti già consolidati sul territorio milanese, partecipazione a tavoli istituzionali, progetti destinati a fasce della popolazione particolarmente fragile. Nei prossimi anni, mi immagino che Fondazione Guzzetti debba puntare in alto anche alla luce della riforma del terzo settore che la vede coinvolta in prima linea, contenendo quanto possibile frammentazioni di pensiero, di strategie, di impegno delle persone che vi lavorano. Pochi progetti, ma importanti ed efficaci, e ben comunicati al suo interno e all’esterno.
Come responsabile di consultorio che cosa credi sia più urgente in questo momento?
Dalla mia prospettiva di responsabile di consultorio, inoltre, punterei a dare più valore agli operatori che vi lavorano con così tanta dedizione e condivisione valoriale. Ci sono tanti bravi professionisti a Milano e dintorni, ma non tutti accomunati dagli stessi valori. Quelli che lavorano nei nostri consultori sono merce rara, e non dobbiamo dimenticarlo mai, né tanto meno darlo per scontato. Credo sia necessario investire di più sul capitale umano e offrire, per esempio, più formazioni professionali o dare vita ad agevolazioni di tipo ‘welfare aziendale’, ecc… Per reperirne i fondi necessari, penso a sponsor e/o collaborazioni con enti con etica condivisibile o ad una campagna di comunicazione per lasciti testamentari. E penso anche alla costituzione di associazioni/società di servizi alla persona a prezzi calmierati per far incontrare domanda e offerta, bisogni emergenti e competenze professionali al di là dell’accreditamento con la Regione Lombardia. Insomma, vedo tante sfide in fronte a me. Vedremo, sono positiva.