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Intervista a Stefano Ciervo – Perchè amo lavorare coi giovani adulti

“Credo di essere da sempre stato attratto dalla solennità e dall’intimità della stanza di terapia, un luogo in cui la sofferenza e la vulnerabilità diventano talvolta una via per costruire relazioni autentiche e profonde”. Stefano Ciervo comincia a spiegare così i motivi che lo hanno portato a diventare psicoterapeuta. Dopo il liceo scientifico, ha deciso di iscriversi alla facoltà di Psicologia in Bicocca a Milano. Laurea magistrale in Cattolica, tirocinio, scuola di specialità, Stefano ha iniziato a orientarsi nella professione attraverso le prime esperienze nell’ambito della psichiatria.

Non ti sei mai fermato nella formazione…

Direi di no, mi sono specializzato in psicoterapia ad orientamento psicoanalitico relazionale, successivamente ho cercato di arricchire il mio bagaglio con altri strumenti. In generale credo sia fondamentale mantenere occasioni di formazione, sviluppare e mantenere relazioni e luoghi di appartenenza utili alla propria formazione sia come professionisti che come persone. Aiuta anche a sentirsi meno isolati, il nostro può essere un lavoro solitario.

Che tipo di terapeuta sei oggi?

Oggi cerco di mantenere almeno in parte l’apertura dei primi tempi. Credo sia responsabilità per un terapeuta consolidare la propria identità e competenza professionale attraverso l’esperienza, l’acquisizione di un metodo e di strumenti solidi e al contempo rimanere aperto e permeabile a diversi punti di vista rispetto al funzionamento umano. Una certa danza tra sicurezza e incertezza, tra noto e ignoto che non sempre facile da abitare. Del resto è qualcosa che contraddistingue la nostra professione anche nel rapporto con i pazienti.

Un paziente non cerca forse certezza nel proprio terapeuta?

Può capitare… Penso però alla relazione con il terapeuta e alla terapia stessa come occasione per esplorare, comprendere, accogliere e talvolta trasformare aspetti di sé, un viaggio che spesso passa attraverso paesaggi tutt’altro che pianeggianti.

Come arrivi in Fondazione Guzzetti?

Era il 2014, l’ingresso come tirocinante in Fondazione è stato molto importante nel mio percorso, ad oggi per me il contesto di appartenenza più antico. Mi piace il lavoro in equipe, è per me l’occasione per imparare da colleghi capaci e generosi e condividere la complessità di alcuni percorsi. Il consultorio permette di confrontarsi con un’utenza molto variegata e di appartenere ad un’istituzione che contribuisce ad offrire un servizio per il territorio in cui credo molto.


Stefano Ciervo

Nel frattempo hai anche cominciato una collaborazione con l’Università Cattolica…

Sì, ho fatto per tanti anni il cultore della materia per il corso di psicopatologia successivamente ho iniziato a collaborare con il centro sanitario dell’ateneo presso il servizio di consultazione per gli studenti.

Interessante! Incontri tanti giovani adulti?

Si, mi piace molto il lavoro con questa fascia d’età. Si può spesso contare su risorse con un buon grado di maturità e al contempo è come se i giochi fossero in buona parte ancora da farsi… lo trovo coinvolgente.

Come stanno i giovani adulti oggi?

Credo sia inevitabile rispondere con una quota di retorica del tipo “oggi è più difficile essere giovani”, l’attualità porta specifici elementi di complessità. Cerco però di mantenermi distante da una posizione paternalistica. Mi impegno ad incontrare i ragazzi con rispetto e ottimismo e spesso sviluppo una certa quota di simpatia e curiosità. In generale li vedo impegnati nel dialogo tra aspettative e realtà.

Torniamo al consultorio Restelli: ora sei anche il coordinatore di equipe…

Si, ho ricevuto il testimone da Giangiacomo Reali, un collega che è stato a lungo coordinatore della nostra equipe, un esempio per me. Ho ricevuto l’incarico con gratitudine per la fiducia, per me è un ruolo nuovo e una prospettiva di crescita a lungo termine.

Cosa vuol dire coordinare un’equipe?

Per ora il mio obiettivo è di consolidarmi in un nuovo ruolo e accompagnare il lavoro di colleghi che stimo profondamente, favorendo il confronto grazie alle grandi competenze del nostro gruppo.

Quando non sei al lavoro, come impieghi il tuo tempo?

Cerco come posso di godermi i miei affetti, in primis la famiglia. Avere cura delle relazioni e condividere esperienze significative credo non sia scontato.

Che sfide attendono Fondazione Guzzetti?

Credo che una sfida consista nel preservare l’alta qualità dell’offerta all’utenza e il benessere degli operatori in una cornice di cambiamenti del sistema sanitario e sociale che talvolta contribuisce a incrementare la complessità del nostro lavoro.