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Roberta Fumagalli – La coppia è il primo figlio di ogni coppia

 “Mi sento una persona sempre in cammino, desiderosa di apprendere e conoscere”: così si definisce Roberta Fumagalli, pedagogista di Fondazione Guzzetti, che oggi incontriamo per conoscerla meglio.

Ho fatto il liceo scientifico e mi sono iscritta a Lettere in Statale. Volevo diventare una giornalista. Ho lavorato per un giornale settimanale locale, “Luce”. E sono diventata giornalista pubblicista. Nella mia vita ho sempre avuto due grandi passioni: mi piace scrivere e dedicare tempo agli altri. Ho fatto volontariato fin da quando ero giovane. Ricordo che mio papà diceva: aiuta i bambini che non sono bravi a scuola. E così il sabato pomeriggio un mio compagno di classe veniva a casa nostra e lo aiutavo. Col passare del tempo ho fondato un gruppo di volontariato nella mia parrocchia, in cui ho coinvolto una cinquantina di giovani per portare da mangiare agli anziani e prestare loro assistenza nel weekend.

Tutto questo allora ti ha forgiato nella scelta di un lavoro in ambito educativo.

Sì, mi piaceva molto il lavoro educativo. Mentre frequentavo il corso di Lettere, ho scelto l’indirizzo pedagogico, laureandomi in pedagogia. E in un secondo momento ho integrato i primi studi con una seconda laurea in Scienze dell’Educazione a Bergamo, mentre già lavoravo come coordinatrice di una serie di servizi educativi rivolti a minori. Ho infatti lavorato per 15 anni in una grande cooperativa sociale e lì svolgevo un ruolo marcatamente pedagogico: coordinavo alcuni servizi per minori in collaborazione coi servizi sociali territoriali; facevo supervisione pedagogica agli educatori e formazione

Per un certo periodo hai fatto anche l’educatrice di strada. In cosa consiste?

Insieme ad altri educatori cercavamo i ragazzi per strada per conto del Comune. L’obiettivo era quello di avvicinare gli adolescenti e coinvolgergli in un centro di aggregazione giovanile. In età giovanile ho fatto diverse esperienze come educatrice: ho lavorato nell’Assistenza Domiciliare Minori, in un centro di aggregazione giovanile, ho insegnato in un centro di educazione professionale per disabili. Un’esperienza corposa, ai tempi innovativa (parliamo della fine degli anni ’90) è stata quella di operatrice di uno sportello di ascolto nell’allora scuola media: l’introduzione di una figura educativa a scuola favoriva l’apertura dei ragazzi in merito a tematiche inerenti le “normali” tappe fisiologiche ed evolutive di crescita dei pre-adolescenti. Ogni anno incontravo un centinaio di ragazzi desiderosi di condividere piccoli, ma per loro grossi, episodi del loro quotidiano (i primi innamoramenti, il rapporto coi professori, gli screzi con gli amici o coi genitori, ecc.)  Mi è capitato di rincontrare, dopo alcuni anni, qualcuno di quei ragazzi ormai diventati giovani adulti ed è stato bellissimo vedere che ricordavano l’esperienza fatta allo sportello di ascolto come un’occasione preziosa per la loro crescita.

Nel frattempo la vita privata ha preso forma…

Sì, mi sono sposata e ho avuto quattro figli, che oggi hanno 21, 18, 13 e 11 anni. Ho scelto di lasciare il lavoro per un certo periodo per stare con loro a tempo pieno. Non aveva senso occuparmi degli altri e trascurare i miei figli. Ma il lavoro mi mancava, così nel 2015 ho iniziato la scuola di counselling sistemico relazionale, attraverso la quale ho conosciuto il consultorio di Sant’Antonio, dove ho fatto il tirocinio.

Il consultorio Sant’Antonio fa parte di Fondazione Guzzetti. Non avevi mai incontrato la realtà dei consultori prima?

No, in effetti. Ma è stata una piacevolissima scoperta. Alla fine del tirocinio sono rimasta come pedagogista a tutti gli effetti. Mi occupo di genitori che chiedono supporto educativo nella relazione con i figli, ma anche di coppie.

Quindi integri le tue competenze pedagogiche che quelle di counselling…

Esattamente. Ho sperimentato che con le coppie si può svolgere un compito educativo. Occorre avere l’immagine della coppia come se fosse il primo figlio che ogni coppia ha. È un essere vivente a tutti gli effetti. Ha bisogno di essere accudita, cresciuta, protetta. Evolve e cresce come un figlio. La funzione genitoriale e quella relazionale di partner sono legate.

Si può dire che una relazione di coppia che ha bisogno di aiuto fa emergere problematiche anche a livello pedagogico coi figli e viceversa?

Sì, le due funzioni, quella genitoriale e quella di partner, sono spesso intrecciate e inscindibili

Qual è la sfida dei consultori in questo momento?

La sfida del consultorio è puntare di più sulla prevenzione. A fianco del lavoro di cura del disagio che coinvolge in prima linea gli psicologi e gli psicoterapeuti, lavoro preziosissimo, credo che siano molto importanti percorsi e stimoli che favoriscano la riflessione e un pensiero prima di trovarsi nella situazione di richiesta di intervento importante, perché poi diventa più faticoso, più lungo. Ricostruire una casa che è crollata è più faticoso che riparare una crepa.

In questo periodo arrivano coppie già avanti nella fase di crisi?

Sì, capita spesso di incontrare coppie già in affanno. Cerchiamo di tamponare la situazione, ma è complicato. Viene da pensare: se avessimo offerto loro prima gli strumenti adatti ad affrontare le difficoltà?

Colpa della pandemia?

La pandemia ha evidenziato problemi che c’erano già. La convivenza ha fatto emergere aspetti che prima non si guardavano. Meglio che siano venuti fuori, ma la situazione può apparire peggiore proprio perché sono emersi. Avrebbero potuto non emergere mai. Tante coppie dedite all’esterno (lavoro, impegni, amici, volontariato) vanno avanti senza accorgersi che c’è un problema al loro interno.

Ma nel primo periodo della pandemia non si avevano vie di fuga…

Esatto, quindi se non si può prevenire, ora occorre metterci mano. Tenendo conto, ad ogni modo, che la fragilità fa parte della vita di tutti, anche di noi operatori.

La consapevolezza che tutti abbiamo fragilità è un dato di partenza interessante, un punto di forza…

Assolutamente sì. Riconoscerle e trasformarle in opportunità per scoprire e svelare punti di vista inesplorati è la vera sfida dell’oggi. Dobbiamo cercare nuove vie non viste fino ad oggi. E mentre cerchi di aiutare l’altro, trovi anche un po’ di te stesso.

Qual è la fatica più grande che viviamo in questo momento?

Forse è proprio chiedere aiuto. Non c’è da vergognarsi nel chiederlo.

Che cosa significa per te lavorare in consultorio?

Per me è un’occasione di tornare a occuparmi delle persone molto fragili e questo mi appassiona molto. Ha dato anche nuova linfa al mio ruolo di madre e di moglie. Sono molto contenta quando vado a lavorare in consultorio. È lo spazio per me: faccio quello che mi piace. Con una tempistica che mi permette di occuparmi anche dei miei figli.

Un luogo di lavoro non facile da trovare…

Qui si sta bene, il clima che si respira è bello. Il direttore e i colleghi sono tutte persone splendide.

Di che cosa ti occupi in consultorio, concretamente?

Da qualche anno il mio centro di interesse è rivolto a sostenere le coppie in quanto partner di vita e genitori. Parallelamente alcuni colleghi lavorano  con i ragazzi, magari proprio nelle scuole. Anche i corsi che vengono fatti dalle ostetriche sono molto importanti: la mamma in gravidanza non sa ancora che genitore diventerà. Ed è importante che cominci a lavorarci, insieme anche al futuro papà.

Gli adolescenti sono decisamente la categoria più colpita dalla pandemia. Perché secondo te?

Credo che gli adolescenti abbiano bisogno ora più che mai di adulti attorno a loro che facciano squadra. Tutti gli adulti possibili (insegnanti, allenatori, educatori, giovani-adulti, genitori di altri coetanei). Si sa, a quell’età i genitori sono meno incisivi. I ragazzi cerano conferme di ciò che hanno appreso in famiglia da altri punti di riferimento, altre figure educative. Ormai credo abbiamo imparato la lezione: se la famiglia rimane chiusa, va in sofferenza.

Lo sport aiuta?

Sì, molto. Lo sport è uno degli strumenti che permette a un ragazzo di vivere in ambienti positivi che lo aiutano a crescere.

Nel 2020, anno che ricorderemo tutti per lo scoppio della pandemia, è uscito un tuo libro, “Non c’è due senza te”, sul tema delle coppie, un tema a te molto caro…

Sì, questo libro nasce e trova nutrimento in un gruppo che ho aiutato a creare in parrocchia insieme a mio marito e altre due coppie. L’obiettivo è quello di garantire ai neo-sposi il supporto della comunità cristiana, perché non siano soli ad affrontare i primi passi della vita a due. Attraverso la Parola viva del Vangelo, il confronto di gruppo e le attività di laboratorio che ispirano riflessione, i neo-sposi affrontano, in un clima conviviale e profondo insieme, temi come il rapporto con le famiglie d’origine, la fedeltà, la sessualità, il tempo di coppia, la fiducia, le promesse reciproche.