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Simone Curto – Sempre alla ricerca di una psicologia integrale

Oggi incontriamo Simone Curto, psicologo e psicoterapeuta di Fondazione Guzzetti.
Simone, com’è stata la tua formazione?

Dopo la laurea in psicologia ho sentito la necessità di fare esperienza sul campo e ho iniziato a collaborare con diverse realtà territoriali sia nel mondo psicoeducativo scolastico che nell’ambito della riabilitazione psichiatrica. Già dai tempi dell’università ho avuto la fortuna di partecipare ad un progetto teatrale all’interno di una comunità psichiatrica: il teatro mi ha fornito una possibilità concreta per vivere e osservare l’unicità e la complessità dell’esperienza umana e allo stesso tempo integrare nella mia pratica clinica la dimensione creativa, espressiva e psico-corporea.

Come è continuata la tua formazione?

Dapprima tramite un master biennale in educazione alla teatralità. Essendo poi appassionato da sempre di filosofia orientale, mindfulness e spiritualità ho cercato un modo di integrare anche questi aspetti all’interno della mia esperienza professionale. Ho deciso quindi di specializzarmi presso la scuola di psicoterapia transpersonale di Milano, che ha appagato la mia ricerca di una psicologia integrale che avesse uno sguardo in grado di unire alla dimensione cognitiva, emotiva e corporea dell’essere umano una più essenziale ed intima, spirituale nel senso più profondo del termine.

Perché hai scelto questo mestiere?

Sono sempre stato guidato dalla curiosità di voler approfondire i misteri della psiche umana che in fondo era un modo come un altro per cercare di capire meglio me stesso. All’inizio del mio percorso ero orientato ad arrivare a conclusioni su di me, sugli altri e sul mondo, mentre oggi ho uno sguardo più ampio: come voler fare luce su qualcosa ma “non la luce che mette fine alla ricerca” (Hillman). Ho imparato che non c’è sempre bisogno di capire tutto. Vivo il mio lavoro più che come una professione, come un incontro, un viaggio verso me stesso e gli altri, dove cerco di portare chi sono oltre le tecniche e le metodologie che ho approfondito durante questi anni di formazione ed esperienza professionale.


Simone Curto

C’è un incontro o un evento in particolare che ricordi come determinante per la scelta professionale che hai fatto?

Ce ne sono tanti. Mi sento davvero fortunato ad aver incontrato sul mio cammino molti maestri di formazioni e visioni differenti e non solo nel campo della psicologia. L’integrazione di diversi modelli di lavoro e sguardi differenti è stata per me, e continua ad esserlo, qualcosa che mi appassiona fortemente. Se dovessi scegliere un evento particolare andrei alle origini: l’incontro con il teatro e la psichiatria mi ha sicuramente aperto la strada all’idea di psicoterapia come forma d’arte, cercare di vedere oltre ciò che appare, ricercare la bellezza dell’essere umano anche nella sofferenza umana più profonda.

Come hai conosciuto il consultorio?

Sono entrato in contatto con Fondazione Guzzetti tramite il consultorio Gianna Beretta Molla nell’ambito del mio tirocinio di specializzazione in psicoterapia e poi sono rimasto come operatore sia sulla parte clinica che nel comparto scuole, allargando la mia collaborazione al consultorio di Restelli e Sant’Antonio.

Perché hai deciso di continuare a lavorare in consultorio?

Innanzitutto perché è un luogo straordinario che mi ha accolto e mi ha fatto sentire a casa fin dal primo momento. I colleghi e il confronto in equipe sono diventati uno strumento fondamentale di riflessione e integrazione di visioni e modalità di lavoro sempre nuove che ritengo fondamentali per la mia crescita. Mi piace anche come il consultorio sia una realtà profondamente connessa con il territorio, un punto di osservazione unico, un termometro di ciò che accade nella comunità allargata.

Quali sono le sfide per Fondazione Guzzetti nei prossimi anni, secondo te?

Ritengo che la pandemia e le nuove modalità di lavoro online ci abbiano reso ancora più consapevoli delle possibilità delle nuove tecnologie: per questo sarà sempre più importante conoscere e studiare gli strumenti attuali e futuri dove il corpo non sarà direttamente presente, ma dove il contatto e la relazione terapeutica possono esistere e trovare modalità nuove di esprimersi. Il nostro è un ambito in continua evoluzione e così come invitiamo i nostri utenti a farlo nel nostro studio, sarà sempre più necessario anche per noi operatori avere il coraggio di oltrepassare le colonne d’Ercole ed esplorare nuovi mari, nuovi oceani, nuove possibilità di intervento che rispondano ai bisogni sempre nuovi di chi si rivolge a noi.