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Elisa Milani: “Parola chiave dei consultori? Accoglienza”

Oggi incontriamo Elisa Milani, psicologa e psicoterapeuta di Fondazione Guzzetti.

“Ho frequentato il liceo scientifico e in quegli anni ho sviluppato la passione per l’insegnamento, grazie a una docente di Lettere fantastica, che ci stimolava molto e ci formava come persone, non solo come studenti. Solo più tardi ho capito che in quella modalità di insegnamento c’era tanta psicologia. Mi sono decisa inizialmente quindi a frequentare la Facoltà di Lettere all’università, perché volevo a mia volta essere di aiuto a ragazzi in formazione e in crescita”.

E com’è andata?

Non benissimo. Anzi, la parte di studio più specifica, riguardante la letteratura, proprio non faceva per me.

Che cosa hai deciso di fare?

Mi sono fermata, mi sono ascoltata bene per tutta l’estate e ho capito che l’aspetto relazionale dello scavo della persona e il sostegno dell’altro erano davvero alla base del mio desiderio di formazione. Ho capito quindi che forse la direzione più giusta sarebbe stata Psicologia e ho deciso di provare a sostenere il test di ingresso.

Non credevi di potercela fare?

Beh, non avevo ricevuto una formazione in questo senso negli anni delle superiori, anche se il piano di studi mi ispirava molto. Mi sembrava quindi un po’ una scommessa tentare questa strada. I primi esami sono andati alla grande nel senso che mi è proprio scoppiata una vera e propria passione per questo mondo. Mi piaceva tutto, tutto mi rispecchiava. Potevo arrivarci anche prima: in casa mia sono sempre stata la depositaria delle narrazioni familiari…

Cioè?

Amavo sentir raccontare le storie di familiari, nonni, amici… ho sempre avuto una grande passione per l’ascolto.

Finita l’università, che cosa hai deciso di fare?

La scuola di Psicoterapia. Ho scelto Area G, con orientamento psicodinamico e un indirizzo specifico sugli adolescenti. Tra le varie esperienze formative, mi ero innamorata dell’area clinica, grazie al tirocinio post laurea presso il consultorio di Sant’Antonio. Ho Frequentato anche un master per imparare la tecnica dell’EMDR, che adoro e che utilizzo molto.

Parliamo del tirocinio in Sant’Antonio. È così che conosci Fondazione Guzzetti?

Sì, un tirocinio molto bello. Mi sono trovata benissimo, sia a livello umano che a livello formativo. Sono stata 6 mesi per il tirocinio post lauream e poi sono tornata a distanza di qualche anno per tre anni per il tirocinio della scuola di psicoterapia. Finita la scuola ho continuato a lavorare lì come operatrice. Mi occupo della parte clinica, ma anche delle attività PES (Prevenzione ed Educazione alla Salute) nelle scuole.

Che ricordo hai di quei primi anni?

Ho un ricordo indelebile addirittura dei primissimi giorni. L’assistente sociale di allora, la mitica Ester, era un’istituzione e io mi rivolgevo a lei, dandole del “lei”, ma subito mi ha invitata a darle del “tu”, dicendomi: “Siamo qui per lavorare insieme, siamo tutti sullo stesso piano”. Questo aneddoto è un esempio della grande accoglienza, tanta umiltà, ed enorme disponibilità alla formazione che ho sempre respirato in consultorio. Ancora oggi Michele, il direttore, ci propone delle formazioni ricche e significative.

È un po’ come se ti dicessero: la Fondazione investe su di te…

Sì, esatto. Noto una grande attenzione ai nostri bisogni formativi, insieme alla cura per la dimensione lavorativa. Non siamo in uno studio associato, siamo all’interno di una cornice che ci sostiene. Il coordinatore è sempre disponibile, l’equipe affronta unita ogni caso complicato. E ultimamente sono sempre di più…

Perché, secondo te?

Penso per diversi fattori, dinamiche sociali sempre più complesse, diffusione sempre più esponenziale dei media, il Covid…difficile trovare un’unica motivazione. In tutta onestà probabilmente certe situazioni non le avrei prese in carico se fossi stata sola nel mio studio privato. Lo sguardo di condivisione e confronto è fondamentale, perché alcuni casi sono decisamente al di sopra della nostra sfera emotiva e sentire di non essere sola ma circondata da un equipe fa davvero la differenza.

Oltre alla parte clinica, però, ti occupi anche del mondo scuola…

Sì, il consultorio mi dà questa possibilità: gli incontri di formazione nelle classi delle scuole di Milano. Amo molto anche questa parte del mio lavoro. Mi piace pensare di lanciare dei “semi” ai bambini e ai ragazzi che incontriamo. Sono in anni di sviluppo importanti e delicati e spero che, chissà, magari qualche cosa gli resterà dentro come utile per affrontare questo processo di crescita. Forse questo richiama il mio embrionale desiderio di insegnare, che ho intuito alle superiori.

Qual è la sfida più grande che Fondazione Guzzetti ha davanti a sé?

La società e gli eventi ci stanno portando ad aprire le porte a una fascia di bisogni maggiori e più gravi: dobbiamo accoglierle anche noi in consultorio adeguandoci ai profondi cambiamenti che sta vivendo la nostra società. Per questo credo sarà sempre più importante fare rete sul territorio milanese con altre strutture e altre realtà, dalla psichiatria ai servizi sociali, dalle cooperative ai laboratori.

A cosa ti riferisci in particolare?

Sia alle situazioni più gravi di sofferenza psichica che un tempo non riguardavano i consultori, sia all’approfondimento di riflessioni e approcci sul genere e sull’orientamento sessuale. Dobbiamo rivedere il nostro modo di presentare questi argomenti, senza stravolgere la professionalità etica che ci contraddistingue.

Hai avuto un’esperienza concreta, in questo senso?

L’anno scorso ho avuto la mia prima paziente transessuale. È stata un’esperienza molto arricchente, un’occasione unica per andare a fondo su certe tematiche, anche per me. Il bello di questo lavoro è che anche noi cresciamo ed apprendiamo dai nostri pazienti. Come dice Pellizzari “L’esercizio del mestiere psicoterapeutico è un apprendimento che coincide con una profonda trasformazione e un continuo affinamento della propria forma mentis, è un’esplorazione che da senso alla nostra vita”. Il fatto di essere consultori di ispirazione cristiana non può e non deve essere un limite, anzi. Pratichiamo l’accoglienza verso tutti, proprio perché siamo di ispirazione cristiana ci rivolgiamo a tutte le persone che manifestano un bisogno ed una sofferenza.