Daniela Frizzele – Matteo mi ha reso la mamma che sono
17 Maggio 2021
I consultori? Realtà competenti e qualificate nella città di Milano – di Sabrina Ornito
4 Giugno 2021

L’Italia riapre, ma come stanno gli italiani?

Dal mese di maggio l’Italia ha riaperto prudentemente le proprie attività, con molti vincoli e molti tentennamenti.
Ma è un segnale di ripresa incoraggiante, se ognuno continua a fare la propria parte di cittadino responsabile.
Ma come stanno gli italiani, a livello di salute mentale?
Lo abbiamo chiesto a Sara Ciapponi, psicologa e psicoterapeuta di Fondazione Guzzetti, coordinatrice di equipe in uno dei consultori della Fondazione, il consultorio Mancinelli di Milano.

Lo svolgimento di colloqui terapeutici online è stato un’emergenza. Qualcuno dice però che è più comodo…

Certo, per alcuni è più comodo, ma di fatto è stato pensato e strutturato solo per il periodo emergenziale e non sappiamo per quanto proseguiremo. Sicuramente ha permesso di avvicinare situazioni che non avrebbero potuto accedere altrimenti ai nostri Servizi e di garantire continuità all’interno della pandemia.

Qualcuno ha deciso di non aderire alla proposta di passare online?

Sì, soprattutto nel primo lockdown, un numero piuttosto alto di persone ha interrotto il percorso di psicoterapia, dicendo: “Ci rivediamo quando possiamo farlo in presenza”. La situazione è cambiata molto dopo l’estate, sempre più persone hanno detto “Piuttosto che interrompere, è meglio vedersi online”. In generale, però, dobbiamo ammettere che non è stato vissuto facilmente da molte persone…

Guardiamo l’altro lato della medaglia. Molti non si sarebbero neanche avvicinati a Fondazione Guzzetti e a un percorso psicoterapeutico, se non ci fosse la modalità online…

E’ vero! In quest’ultimo anno poi basta un positivo in una classe per avere i bambini a casa per almeno due settimane. Avremmo degli incontri che salterebbero ogni due per tre. La modalità online invece garantisce la continuità.

Com’è la situazione ora? La gente preferisce mantenere i colloqui da remoto?

No, il contrario. Abbiamo registrato un boom di persone che ci chiede la presenza. Ma non possiamo ancora accogliere tutti in consultorio: tempi da rispettare, igienizzazione degli spazi, dispositivi di sicurezza… I servizi online occupano ancora una buona percentuale delle nostre prestazioni. Ma abbiamo fissato dei criteri per ammettere le persone nei nostri consultori e garantire loro sicurezza e continuità.

Quali?

La prima categoria riguarda le donne a rischio, in situazioni di violenza tra le mura domestiche. La seconda comprende adolescenti e giovani adulti (20 anni) che stanno facendo molta fatica, a causa delle chiusure prolungate della scuola e dell’università. E non riescono proprio a sopportare anche un colloquio online. Stiamo cercando di riportare in presenza (caso per caso) anche coppie e famiglie, dove c’è una complessità di interazione tra i diversi membri. E infine l’ultima casistica è mista, dipende da molti fattori. Generalmente sono persone per cui i lavori di rielaborazione non sono facilmente attuabili online.

Come per esempio l’EMDR?

C’è chi lo pratica online, con successo. Ma non tutte le persone possono reggere la terapia online, soprattutto se riguarda ricordi altamente traumatici. Il lavoro di rielaborazione in casa non è adeguato.


Sara Ciapponi

C’è un trend di aumento peculiare nel numero di richieste subito dopo i periodi di zona rossa e lockdown?

Sì, da gennaio/febbraio, dopo la seconda ondata abbiamo registrato tantissime situazioni evidentemente collegate al periodo di chiusura forzata.

Di quali disturbi parliamo?

Disturbi d’ansia, una rielaborazione post traumatica di situazioni pesanti vissute in lockdown o a seguito della malattia propria o di famigliari. La casistica è pesantemente peggiorata, a causa del prolungarsi dell’isolamento sociale. L’incertezza e le difficoltà economiche lavorative hanno comportato un appesantimento di condizioni di vita. Nei giovani riscontriamo fattori psico-depressivi e un conseguente blocco rispetto alla possibilità di immaginarsi una progettualità.

I giovani collegano queste fatiche al Covid?

Magari non le collegano direttamente, ma di fatto riportano una perdita di senso generale: la mancanza di voglia di studiare, l’inutilità di fare esami.

In questi mesi ci siamo occupati tanto della didattica degli studenti, ma pochi si sono chiesti come stanno veramente…

Nessuno si sta ponendo un problema più ampio della didattica. Abbiamo un aumento esponenziale di minacce di pensieri suicidari, scoppi di rabbia incontrollata, manifestazione di autolesionismo. C’è un aumento di segnalazioni gravi dalle scuole, violenza domestica in aumento. Sono situazioni che prima erano sottotraccia. Ora stanno emergendo con forza.

Fondazione Guzzetti può rispondere a questi bisogni?

Sì, certo. Ma dobbiamo chiederci onestamente se la salute mentale sia deferibile o meno… In questi mesi sono emersi i limiti del nostro sistema sanitario in questo campo ed è importante che questo non cada nel vuoto ma sia oggetto di riflessione. Fondazione Guzzetti è molto preparata, con operatori che sono dei seri professionisti. Può certamente rispondere ai bisogni delle persone, ma non ha abbastanza risorse per soddisfare tutte le richieste di aiuto.

Che cosa manca?

Un vero investimento sulla salute mentale. Laddove c’è una sintomatologia molto grave, possiamo intervenire fino a un certo punto, mancano risorse sufficienti per la presa in carico sia nei servizi di base come il nostro che in quelli specialistici come CPS o neuropsichiatrie. Se non crediamo che la sanità debba occuparsi anche delle menti oltre che dei corpi, non riusciremo ad affrontare le conseguenze a lungo termine di questo anno, con gravi conseguenze sociali.