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Valeria Balordi – “Vi racconto i giovani e le loro situationship”

Oggi incontriamo Valeria Balordi, psicologa psicoterapeuta del consultorio Sant’Antonio.

Valeria, hai sempre voluto essere psicologa?

Credo di no. Ho frequentato il liceo linguistico e pensavo di proseguire con lo studio delle lingue.
Ma avevo una professoressa di filosofia fuori dal comune…

Perchè?
Sia in quarta che quinta liceo ci aveva proposto esperienze di volontariato legate all’accoglienza, alla solidarietà.
E io ho intuito qualcosa di importante.

L’hai rivista, dopo la scuola?

Sì, l’ho incrociata proprio fuori dal consultorio Sant’Antonio. Era alla laurea di sua figlia, in Statale.
E ho potuto dirle che grazie a lei mi trovavo in consultorio a lavorare.
Ma ci sono almeno due altri motivi per cui dopo la maturità ho scelto Psicologia.

Quali?

Avevo un compagno di classe seduto di fianco a me con un malessere psicologico e psichiatrico importante.

Hai rivisto anche lui?

No, con lui ho perso proprio i contatti, non eravamo così amici. È un ragazzo a cui ho pensato tanto.
Chissà che uomo è diventato…

E la seconda motivazione?

È legata alla mia famiglia d’origine.
La mia nonna materna e mio zio soffrivano entrambi, la prima di depressione, il secondo di alcolismo.
Ricordo le allerte che arrivavano a mia madre e lei, di corsa, correva per aiutarli. La fatica ordinaria è un tema che ho sempre masticato.

Hai frequentato Psicologia clinica di comunità a Torino. Perché hai scelto di fare la pendolare tra Milano e Torino?

Perché quell’indirizzo all’epoca non c’era a Milano.
Ma è stato un periodo bellissimo, quello dell’università, soprattutto perché ho incontrato la docente con cui poi mi sono laureata.

Un’altra figura importante?

Assolutamente sì. Tanto che mi sono iscritta alla sua scuola di psicoterapia, ad orientamento sistemico relazionale. Partecipavo con tantissimo entusiasmo. Faceva proprio per me.

Perché?

Perché questo orientamento allarga molto la visuale, permette di dare senso alle relazioni intra-familiari. Lo sentivo come la possibilità di dare un senso più ampio al sintomo.
Ogni fatica è ovviamente individuale, ma anche di sistema.
Insomma, mi sono specializzata con questa professoressa e durante la specializzazione ho incontrato il consultorio.

Col tirocinio?

Non proprio. Facevo già il tirocinio in un contesto di terapia familiare.
Una domenica ho aperto la mappa di Milano e ho cercato i consultori familiari.
Mi sono presa una giornata in settimana, per andare a piedi per la città di Milano a visitare i consultori.
Volevo lasciare il mio CV e parlare con qualcuno…

Che cosa hai chiesto?

Di fare un’esperienza, anche di volontariato. Volevo conoscere questa realtà.
Entro al consultorio Sant’Antonio, incontro la segretaria Daniela, che aveva iniziato a lavorare lì da qualche mese.
Mi fa parlare subito col direttore e così sono entrata in punta di piedi, come se fossi una tirocinante in questo mondo meraviglioso, che è il consultorio. Da allora non me ne sono più andata.
Era il 2004.

Qual è il motivo principale per cui lavori ancora in consultorio?

Ce ne sono tanti. Ma sicuramente per l’equipe, l’occasione in cui costantemente diversi professionisti si confrontano.
Chi lavora in consultorio come me ha la possibilità di mostrare la parte più fragile del terapeuta ai propri colleghi, che accolgono senza giudizio ogni fatica.
Dall’altro lato invece l’eccessiva burocratizzazione emersa negli ultimi tempi scoraggia molto noi operatori. Dobbiamo tenere alta l’attenzione sui pazienti, senza perdere di vista l’aspetto burocratico.

Chi incontri oggi in consultorio?

Prevalentemente adulti e coppie in crisi.

Come sono cambiate le coppie in questi vent’anni?

È cambiata la condizione di legame. Oggi il legame appare perennemente in bilico rispetto ad un tempo e la possibilità di romperlo può essere vista come un fattore di rischio, ma ritengo sia anche una grande opportunità perché permette di vivere il rapporto con maggior consapevolezza.

In che senso? Spiegaci.

La certezza che la separazione possa avvenire consente oggi alla coppia maggiore responsabilità nello stare insieme.
Pensare alla separazione paradossalmente permette di mantenere la scelta di rimanere uniti per coloro che davvero lo desiderano. I nostri rapporti di coppia appaiono più fragili, forse più fragili che in passato, perché più liberi e meno condizionati da vincoli o doveri.

E i giovani, invece?

Vedo giovani ancora sovraccaricati da aspettative e obiettivi che non appartengono loro.
Vedono la relazione di coppia come un’occasione di performance e quindi di giudizio, in caso di fallimento.
Prediligono le situationship.

Cioè?

Le relazioni in cui ci si prende tutto il tempo necessario per capire se fare davvero un passo serio. Sono rapporti poco vincolanti che li proteggono dalla possibilità di soffrire, di sentirsi dipendenti da qualcuno.
L’altro può far sentire minato il proprio sé, la propria autonomia, in fondo il rapporto con l’altro richiede un lavoro di mediazione.


Valeria Balordi

Oltre all’attività in consultorio, sei psicologa anche presso il Centro di Accoglienza San Marco, in zona Brera, a Milano…

Sì, questo è frutto di un incontro con una persona che ha proprio costruito questa realtà, Alessandra Berlenghi.
L’ho conosciuta appena finito il tirocinio post lauream, era in 2001. Ci siamo incontrate perché ha chiesto  alla mia famiglia, insieme ad altre, di supportare una ragazza single, con un passato complicato, che viveva nella mia zona, con il suo bambino di tre anni.
L’entusiasmo e l’energia di Sandra mi ha conquistato e così ho cominciato a lavorare per il Centro Accoglienza, dove l’utenza è molto particolare.

Perché?
Perché non ti chiede niente. Sono persone generalmente sole, senza legami familiari, che non chiedono supporto. Alcuni sono molto arrabbiati.
Nel corso del tempo, anche grazie alla supervisione di Charmet, abbiamo avviato in modo sperimentale uno spazio minori, per prevenire situazioni di disagio ed emarginazione in età adulta. Il grande lavoro che oggi svolgiamo con i servizi sociali e con il carcere Beccaria va proprio in questa direzione.

E quando non lavori, cosa ami fare?

Insieme a mio marito mi occupo delle nostre piante, dipingo e cucino. Quando abbiamo qualche giorno di ferie, amiamo viaggiare. L’ultimo viaggio poche settimane fa in Costa Azzurra.

Torniamo a Fondazione Guzzetti per un attimo. Quali sono le sfide che ha davanti a sé, dal tuo punto di vista?

Intercettare un maggior numero di persone, soprattutto avviando l’attività privata.
Ma anche interagire con Regione Lombardia, per ottenere più fondi. C’è così tanto bisogno tra le persone…