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Stefania Bianchi – Solo la diversità rende possibile un incontro pieno

Oggi incontriamo Stefania Bianchi, psicologa e psicoterapeuta.
Stefania nasce a Verbania, ma si trasferisce a Padova per studiare psicologia. Conclusi gli studi, si trasferisce a Milano.

Quando mi sono laureata volevo fare analisi transazionale perché a Padova ho incontrato un professore fantastico, che mi ha insegnato e fatto appassionare a questo metodo, nel quale il terapeuta ha un ruolo attivo nella relazione con il paziente e risulta fondamentale tenere in considerazione i tre stati dell’io: l’io adulto, l’io bambino e l’io genitore. Sfortunatamente non sono riuscita a svolgere il tirocinio post lauream al centro di psicologia e analisi transazionale di Milano e mi sono rivolta ad altri enti. Ed è così che ho conosciuto la Scuola di psicoterapia della Procedura Immaginativa e mi sono formata con quel metodo.

Perché hai scelto questa metodologia?

La metodologia risale al modello del Reve Eveille di Desoille e della scuola di Parigi, GIREP (Groupe International du Rêve-Eveillé en Psychanalyse) ed è incentrata sull’uso dell’Immaginario come via privilegiata di accesso ai vari livelli di coscienza e come processo terapeutico. Non solo si basa sul simbolismo dell’ immaginario e sull’uso di immagini/disegni, elementi chiave per una persona creativa come me, ma promuove anche il ruolo attivo del terapeuta. Ed io ho sempre voluto mettermi in gioco in prima persona, perché credo che qualunque presa in carico sia in realtà un percorso da fare insieme, terapeuta e paziente.

Come hai conosciuto Fondazione Guzzetti?

Sono entrata nel consultorio Strozzi nel 2009-2010 quando ancora non era stata costituita la Fondazione. Una collega mi ha invitato a lavorare in consultorio per una sostituzione di maternità e non me ne sono più andata. Ho sempre cercato di associare all’attività privata il lavoro sul territorio e nei servizi, ho fatto esperienze in comunità per minori, in carcere con le famiglie di detenuti, nel penale minorile in un servizio del comune di Milano (SEAD), nelle scuole con associazioni che promuovevano la salute e il benessere e la tutela dei minori.

Che cosa hai trovato in consultorio che ti ha portato a riconfermare questo ambiente di lavoro per
tutti questi anni?

Quando ho cominciato a lavorare in consultorio, uscivo dalla scuola di specialità e ho trovato tantissima esperienza nelle mie colleghe, nonostante la formazione diversa mi sono sentita accolta e valorizzata, mi hanno insegnato molto e tuttora imparo molto: è sempre stimolante e gratificante il confronto con loro. Mi piace il lavoro di equipe, il confrontarsi con professionalità diverse, interagire con tante persone, sia all’interno del mio ambiente di lavoro sia all’esterno: penso ai servizi sociali, alle UOMPIA…


Stefania Bianchi 

In che modo è cambiato il tuo lavoro col tempo?

Certamente con gli anni la complessità burocratica è aumentata e questo si incastra male con la mia etica professionale. Investire tanto tempo in burocrazia rischia di far perdere minuti preziosi e attenzione necessaria al paziente. Ma credo sia anche uno spunto per crescere…

In che senso?

Mi insegna a stare nei limiti del contesto che vivo. Il mondo non è certo quello ideale che vorrei. Ho la consapevolezza che non possiamo fare tutto. Quindi occorre fare ciò che si può fare. In questo senso mi aveva aiutato moltissimo il corso di mindfulness per operatori che Fondazione Guzzetti ci ha proposto di frequentare. Ho imparato a fermarmi e considerare la complessità come una sfida da affrontare passo passo.

Di cosa ti occupi ora in consultorio?

Lavoro soprattutto con adolescenti e giovani adulti. La complessità degli adolescenti mi piace molto e amo lavorare sul contesto familiare, coinvolgendo le relazioni importanti dei ragazzi e delle ragazze.

È una missione possibile?

Sì, ma non senza salite. Oggi mancano regole e contenimenti sani, funzionali alla crescita degli adolescenti. Difficile parlare di recinto delle regole oggi… Senza recinto, il rischio è quello di esondare, disperdendosi.

Che cosa ti piace del lavoro in Fondazione Guzzetti?

Il lavoro in equipe, non solo in un consultorio, ma anche in modo più allargato, ad esempio coinvolgendo tutti gli operatori attivi nel comparto scuole, per i percorsi di prevenzione ed educazione alla salute. Abbiamo obiettivi comuni, nonostante le formazioni diverse. In fondo, credo che questa sia la nostra forza.

Eppure nel mondo della sanità oggi è faticoso apprezzare le sfaccettature di tutti…

Sì, è vero: ognuno è chiamato a occuparsi del proprio pezzettino. Eppure, uno degli insegnanti della mia scuola di specializzazione diceva che per poter accogliere il paziente nelle sue sfumature, dobbiamo conoscere il più possibile: la musica, l’arte, la cucina, la pittura… Tanti operatori con orientamenti diversi, ciascuno con particolarità personali, rendono possibile un incontro davvero pieno. Questo è davvero un punto di forza enorme per tutta la Fondazione, che la rende unica e speciale.